S. Pietro penitente, J. de Ribera "Spagnoletto", 1629 |
di Gennaio 2013
di "Radicati nella fede".
Editoriale di "Radicati nella fede" n° 1 Gennaio 2013
Pare che oggi sia scomparsa dalla
Chiesa la condanna del peccato.
Non diciamo che non si dichiari più che questo
o quello sia peccato; diciamo solo che lo si fa così timidamente e dolcemente
da sembrare, anche per la Chiesa, una questione non grave. Sì, generalmente
oggi si fa così. Se si dice ancora che un'azione è peccato, parte subito tutta
un’opera di addolcimento dell'accusa, per non spaventare il peccatore, per
accoglierlo comunque, dicendo subito che la misericordia vince. Ma la
misericordia di Dio la si comprende bene solo se si coglie tutta la gravità del
peccato. Oggi ormai ha vinto questa linea nella Chiesa, disastrosa dal punto di
vista della cura delle anime, disastrosa per la pastorale, come si suol dire
oggi.
Non è solo il mondo ad aver fatto il disastro
morale di oggi, troppo comodo incolpare solo quelli di fuori! Siamo noi che non
abbiamo più parlato con chiarezza della gravità del peccato, del peccato
mortale, del pericolo dell'anima che muore in stato di impenitenza finale.
Siamo noi che abbiamo “scherzato”, parlando di peccato e di misericordia (quasi
fosse questa una concessione preventiva al tradimento di Dio), non aiutando le
anime nel ravvedimento e nel vivere secondo Dio. Vivere nel peccato vuol dire
perdere la vita. Non abbiamo più detto che il peccato dispiace a Dio, che
rovina l'esistenza quaggiù e chiude il Paradiso. Non abbiamo più parlato di
dolore del peccato, di contrizione, e poi ci stupiamo che non ci si confessi
più!
Il nuovo corso è iniziato quando si è
cominciato a dire che la Chiesa (“moderna”) preferisce la medicina della
misericordia a quella della condanna. Si è addirittura fatto un Concilio per
dire che non si voleva condannare più l’errore. Si è d'autorità deciso, per
esempio, di tacere sul male “religioso” del '900, il comunismo ateo con tutti i
suoi errori ed orrori.
Invece la Chiesa, nel passato, non distinse
mai la misericordia dalla condanna del peccato! Sono entrambe azioni necessarie
nell'opera di Dio, nell'opera di salvezza delle anime: la condanna seria del
peccato apre l'anima alla possibilità del dolore che salva; la misericordia
dona la grazia del perdono, a chi la domanda.
Terminiamo con una pagina di J. H. Newman,
dell'Apologia pro vita sua, dove, parlando dell'Infallibilità della Chiesa, la
introduce così:
“Anzitutto,
la dottrina del maestro infallibile deve iniziare da una vibrata protesta contro lo stato attuale dell'umanità. L'uomo si è
ribellato al suo Creatore. Questa ribellione ha provocato l'intervento divino; e la denuncia della ribellione dev'essere
il primo atto del messaggio accreditato da Dio. La Chiesa deve denunciare
la ribellione come il più grave di tutti i mali possibili. Non può scendere a
patti; se vuole essere fedele al suo Maestro, deve bandirla e anatemizzarla.
[...]
La Chiesa cattolica pensa sia
meglio che cadano il sole e la luna dal cielo, che la terra neghi il raccolto e
tutti i suoi milioni di abitanti muoiano di fame nella più dura afflizione per
quanto riguarda i patimenti temporali, piuttosto che una sola anima, non diciamo si perda, ma commetta un solo peccato
veniale, dica una sola bugia volontaria o rubi senza motivo un solo misero
centesimo.”
Ecco come il beato Newman, erroneamente
considerato come precursore del Vaticano II, fa eco alla grande Tradizione
della Chiesa, che anche sugli aspetti morali è di semplice ed estrema chiarezza.
Altro che le elucubrazioni pastorali di oggi che hanno prodotto parrocchie dove
la maggioranza dei fedeli vive strutturalmente in peccato mortale.
Ascoltiamo Newman, ascoltiamo la Chiesa: la
Misericordia inizia con la denuncia del peccato, dicendone tutta la sua
gravità.