Pubblichiamo il numero di Settembre 2015
di "Radicati nella fede"
LA MESSA DELL'ASSEMBLEA
CULLA L'AGNOSTICISMO
LA MESSA DELL'ASSEMBLEA CULLA L'AGNOSTICISMO
Editoriale "Radicati nella fede" - Anno VIII n° 8 - Settembre 2015
Editoriale "Radicati nella fede" - Anno VIII n° 8 - Settembre 2015
Ciò che non c'è più nella Messa,
scompare inevitabilmente anche dalla vita cristiana. È solo
questione di tempo, e nemmeno molto.
Così è stato con l'ultima riforma
liturgica: i “vuoti” del rito sono diventati “vuoti” del
nuovo cristianesimo.
Ne vorremmo sottolineare uno tra
tutti: la scomparsa del submissa voce per il prete, che corrisponde
all’assenza del silenzio per i fedeli. Ci sembra questo uno dei
punti che più evidentemente indicano un cambiamento radicale nel
rito cattolico. D'altronde è questo che soprattutto appare come
scandaloso, per i fedeli che oggi si imbattono nella Messa
tradizionale: le lunghe parti in cui il sacerdote, specialmente nel
canone, pronunciando le parole sottovoce, non fa sentire alcunché ai
fedeli, obbligandoli al silenzio.
Più volte abbiamo constatato che è
questo a far problema, più dell'uso del latino.
Eppure questo è un aspetto
determinante, che se eliminato, cambia tutto non solo nella messa, ma
nel cristianesimo stesso.
Il submissa voce, il sottovoce per il
prete e il corrispondente lungo silenzio per i fedeli, “incastra”
prete e fedeli alla fede, senza appoggi umani. Il sacerdote
all'altare deve stare di fronte a Dio, ripetendo sottovoce le parole
di Nostro Signore, rinnovando il Sacrificio del Calvario. È un
rapporto diretto, personale, intimo con Dio; certo mediato dalla
consegna della Chiesa, che custodisce e trasmette le parole che
costituiscono la forma del sacramento, ma che in quell'istante non si
posa sull'umano della Chiesa, ma sul miracolo della grazia. Così
facendo il prete, nel rito tradizionale, immediatamente insegna ai
fedeli che ciò che conta è Dio stesso, la sua azione, la sua
salvezza, e che queste ci raggiungono personalmente.
La nuova messa non è così, è tutta
comunitaria. Il prete in essa, oltre ad essere tutto rivolto ai
fedeli, opera come colui che narra ai fedeli ciò che il Signore ha
fatto nell'ultima cena: racconta ai fedeli le parole e i gesti del
Signore, così che l'azione sacramentale che ne scaturisce appare
tutta mediata dall'attenzione che questi ultimi vi devono mettere.
Scompare così per il prete il rapporto personalissimo con Dio nel
cuore della messa cattolica, il canone, sostituito da questo
estenuante rapporto con chi è di fronte all'altare. La nuova forma
della messa comunitaria ha così trasformato il sacerdote, gettato in
pasto all'attivismo più sfiancante, che è quello di farsi mediare
la fede e il rapporto con Dio sempre dai fedeli. La nuova messa ha
prodotto un nuovo clero non più aiutato a stare con Dio, non più
ancorato all'atto di fede.
Il continuo dialogo nella messa, tra
sacerdote e assemblea, ha anche modificato la concezione di Chiesa:
oggi pensiamo la Chiesa come nascente dal basso, dal battesimo e
quindi dal popolo cristiano; non la pensiamo più come realmente è,
nascente dall'alto, da Dio, dal sacramento dell'Ordine. Chi pensa che
la Chiesa sorga dal battesimo, non sopporta più quel prete
all'altare, che sottovoce pronuncia le parole che costituiscono il
miracolo del sacramento.
Anche i fedeli sono direttamente
rovinati dal nuovo rito perché, continuamente intrattenuti dal
parlare del prete, hanno disimparato anch'essi a stare di fronte a
Dio. Così Dio stesso si trova sostituito dall'assemblea celebrante,
che diventa ingombrante ostacolo nell’educazione al personale atto
di fede.
In questi ultimi tempi si è tentato
nella messa moderna di correre ai ripari, cercando invano di
reintrodurvi un po' di silenzio, collocato dopo la lettura del
Vangelo, ma anche questo espediente rivela la gravità della nuova
posizione. Questo silenzio reintrodotto, solitamente brevissimo, è
un silenzio di riposo umano, di meditazione: esso è di tutt'altra
natura rispetto a quello prodotto dal submissa voce. Il submissa voce
produce un silenzio che avvolge il rapporto intimo del sacerdote con
Dio, che dà la sua persona affinché accada l'azione divina che
salva. Il silenzio del submissa voce è incentrato sull’azione di
Dio e non sulla meditazione dell’uomo, ed è uno dei più grandi
richiami al primato della vita soprannaturale, al primato della
grazia.
Non c'è nulla da fare, occorre
tornare alla Messa di sempre, per tornare alla centralità dell’atto
di fede, personale risposta all'azione di Dio.
Sacerdoti e fedeli non possono
resistere di fronte al mondo, se non sono costituiti in forza da
questo rapporto personalissimo, che nessuna assemblea può
sostituire.
L'alternativa? Un agnosticismo
pratico, un dubbio di fede pratico, un sospeso dell'anima, riempito
dalle parole di un'assemblea che intrattiene per non far pensare.
Osiamo dirlo: la nuova messa, tutta ad
alta voce, tutta narrazione e predica, ha cullato i vari
agnosticismi, dei preti e dei fedeli, non fermando il dramma
dell'apostasia, cioè dell'abbandono pratico della vita cristiana. Ha
illuso, dando, nel migliore dei casi, un po' di calore umano a buon
mercato, diseducando a una posizione di fede vera, assolutamente
necessaria per attraversare la battaglia di questa vita.
Torniamo alla Messa tradizionale,
prima palestra del cristianesimo, quello vero.