Pubblichiamo il numero di Aprile 2016
di "Radicati nella fede"
I NUOVI CLERICALI DEL PERDONO
I NUOVI CLERICALI DEL PERDONO
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno IX n° 4 - Aprile 2016
La questione non è essere severi o
misericordiosi, comprensivi o rigidi, evangelici o rigoristi; no la
questione non è questa.
Il clericalismo è una brutta bestia
che è dura, durissima a morire. Il clericalismo di ogni genere, di
ogni colore, di ogni tendenza. Sì, perché il clericalismo, che è
una delle tentazioni più forti nella Chiesa, si trasforma
esteriormente, restando sempre fedele a se stesso. Si adatta alle
mode, alle situazioni, perché il suo scopo è alimentare se stesso.
Non vogliamo fare un trattatello sul
clericalismo, non è il nostro scopo e non saremmo in grado di farlo;
vogliamo solo coglierne qualche aspetto provocatorio, che inviti ad
una riflessione.
Il clericalismo, nella sostanza, è
l'operazione che l'uomo compie per sostituirsi a Dio.
Per il clericale non c'è al centro
Dio, la sua verità, la sua legge e la sua grazia. Per il clericale
al centro c'è l'uomo di chiesa, che sente il dovere di “gestire”
per conto di Dio. Il clericale parte da una considerazione giusta,
quella che fa dire che non si può andare a Dio senza la Chiesa; ma
strada facendo perde Dio e resta solo con la Chiesa. È come un
protestantesimo ribaltato, che finisce per avere la stessa erronea
separazione tra la Chiesa e Dio: il protestante pretende di arrivare
a Dio senza la Chiesa; il clericale pretende di fare gli interessi
di Dio fermandosi alla Chiesa.
Il clericale arriva a non porsi più
la domanda “Cosa vuole Dio?”, ma si chiede sempre “Cosa
possiamo fare perché la Chiesa sia accolta dalla società e non sia
messa ai margini?”, “Cosa domanda oggi il mondo alla Chiesa?”.
Solitamente, nel passato, l'accusa di
clericalismo era rivolta ai cattolici “rigidi”, un po'
conservatori, fedelissimi alla gerarchia e all'applicazione senza
sconti delle norme ecclesiali.
Oggi constatiamo che il clericalismo,
che come animale camaleontico si adatta ad ogni terreno e clima, è
proprio dei cosiddetti cattolici progressisti, che non solo si
credono i veri interpreti della volontà di Dio, ma se ne ritengono i
liberi formulatori.
Ne è un triste esempio tutto il
dibattito attorno al sinodo sulla famiglia, che ora viene prolungato
sulla questione del perdono in occasione dell'anno giubilare.
I nuovi clericali pensano di poter
gestire politicamente la misericordia, per rendere più simpatica la
Chiesa al mondo. Insomma, i clericali gestiscono il perdono di Dio
come arma politica per introdursi nel salotto della società:
perdonare sempre, non giudicare, comprendere, scusare, accogliere...
sono i verbi di moda oggi tra le fila di coloro che vogliono
instaurare un nuovo corso del cattolicesimo.
E questi chierici, intellettuali laici
o ecclesiastici che siano, sostenitori del perdono assicurato a tutto
e tutti, motivano il loro agire con il fatto che i preti non devono
sostituirsi a Dio, che unico ha il potere di giudicare.
Prima di andare avanti chiariamo
subito che non vogliamo cadere nell'inganno della severità per la
severità: la Chiesa si è spinta sempre fino all'estremo per
concedere il perdono, perché crede al perdono di Dio. La
misericordia divina è infinita, perdona ogni peccato se trova in noi
il dolore del pentimento: guai a noi se ponessimo limiti a questo
perdono! Ma questo spingersi fino all'estremo possibile, non è mai
una falsità retorica: la Chiesa si domanda sempre se ci siano le
condizioni perché il perdono di Dio possa fruttificare in noi (ad
esempio, il dolore del peccato e il proponimento di non commetterlo
più...), e amministrando il perdono prima giudica se ci siano o no
queste condizioni. Rinunciare a questo, da parte della Chiesa,
sarebbe rinunciare al compito datole da Dio stesso.
Proprio perché è di Dio, il perdono
non può essere gestito dagli uomini, anche di chiesa, sganciato
dalla stessa Rivelazione di Dio. Dio ha detto la sua volontà su di
noi, ci ha ha dato la sua grazia ma anche la sua legge!
Proprio perché è di Dio, i preti non
possono sostituirsi a Lui, amministrando assoluzioni a chi non le
chiede veramente; e le chiede veramente chi, anche tra mille
difficoltà, prova il dolore del proprio peccato e vuole uscirne.
E Dio, cui appartiene il perdonare,
non è una pagina bianca nella vita degli uomini: ha detto la verità
su di noi e chiede a noi di seguirla.
Allora, clericali della peggior razza,
sono tutti coloro che nella Chiesa, non amando il martirio, cercano
un posto nel nuovo mondo, ridicolizzando il perdono in una automatica
assoluzione, che diventa poi, ed è inevitabile, la benedizione di
tutto. E così il male non si ferma e ne vanno di mezzo le anime, a
partire dalle più fragili.
Il perdono dei nuovi clericali è
falso, è solo una parola vuota, che non cerca quello che Dio cerca
in noi: il reale cambiamento, la santificazione possibile, la
trasfigurazione nella grazia della nostra vita. Il clericale è
pessimista sull'uomo e non ha fede nella grazia, non crede al
cambiamento della persona, per questo non perde tempo: dà un facile
perdono retorico ed esterno a tutti, e pensa ad altro, impegnato
com'è nei salotti della modernità.
Il cattolico crede invece nel
cambiamento delle persone, nella salvezza delle anime, per questo
lavora affinché ci siano nell'uomo le condizioni per accogliere, con
frutto, la grazia che salva.
I preti cattolici amministrano il
perdono, che è e resta di Dio; amministrare significa lavorare
perché il perdono possa essere reale nella persona e produrre frutti
di bene e di santità.
Così ha lavorato, per Dio e per le
anime, un'infinita schiera di santi confessori.